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Intervento al Convegno: 

“COCCETTELLE  & FRIENDS :  una Tradizione per il Domani”.

 

La SAGRA della COCCETELLA si presenta come un momento di festa paesana, di socializzazione, di passatempo delle serate estive, ma è soprattutto occasione per l’esaltazione di un prodotto tipico del nostro territorio che racchiude in sé storia, tradizione e arte culinaria.

La nostra coccetella è la parente stretta dell’orecchietta pugliese: questa è chiamata così perché ha la forma dell’orecchio, ma la nostra utilizza nel nome dialettale un termine che dovrebbe rimandare alla forma del guscio di una chiocciola, di cui coccetella = piccola chiocciola.

Dico dovrebbe perché accettiamo l’ipotesi che crediamo più attendibile; però è stata avanzata anche un ‘altra interpretazione:  il termine coccetella riferito al tipo di pasta che si accoppiava bene al ragù con il coniglio, detto in dialetto cuccio.  

Infatti ,lavorate rigorosamente a mano, sono allungate e concave, leggermente schiacciate al centro, con la superficie esterna ruvida per consentire ad ogni condimento di attaccarsi in maniera impeccabile.

LE ORIGINI sono avvolte nel mistero, la provenienza è pugliese, però la nascita è dell’ambiente contadino comune anche alla nostra Irpinia da sempre collegata alla vicina provincia di Foggia per motivi commerciali.

Secondo il parere di esperti le odierne orecchiette avevano un antenato nelle “ lixulae” (focaccine), un tipo di pasta dalla forma rotonda con il centro concavo, ottenuta con farina, acqua e formaggio, che veniva preparata nell’antica Roma e di cui ci lascia testimonianza lo storico Varrone.

In un documento notarile del 1500, rinvenuto nella chiesa di S.Nicola a Bari, oltre alla dote di un panificio per il matrimonio della figlia, il padre sottolinea l’abilità della stessa a preparare le orecchiette, quindi ritenuta una preziosa virtù.

Nel nostro Paese la tradizione della pasta a mano risale ad un passato lontano, ma non so se definirlo remoto, poiché è un’arte trasmessa nelle famiglie da madre in figlia per diverse generazioni.

Lungo la strada statale , che attraversa Monteforte, specialmente nella zona detta dei Campi, diverse casalinghe si impegnavano a produrre la pasta a mano che poi vendevano ai passanti, a coloro che dal napoletano si recavano in Irpinia o in pellegrinaggio a Montevergine.

In tal modo si ebbe la diffusione di un prodotto locale senza pubblicità, col passaparola.

La coccetella, è stata la forma di pasta a mano tipica del nostro Paese, insieme agli schiaffoni e ai paccheri, successivamente è stato integrata la fattura del fusillo.

Tutti questi tipi di pasta hanno un comune denominatore, cioè gli ingredienti che sono semola di grano duro  e acqua. Nient’altro, anzi no! Tanta fatica delle braccia e pazienza .

La procedura è costituita da diverse fasi: si versava la semola necessaria  su una spianatoia di legno, al centro si faceva una fontanella e si versava l’acqua bollente, poco per volta. Con le mani se ne faceva un impasto morbido, compatto e liscio; lo si avvolgeva in un panno bianco di tela, bagnato nell’acqua bollente e ben strizzato ed ancora un altro panno asciutto a coprire tutto l’impasto che aveva forma di un pane. Lo si lasciava riposare alcune ore.

Si passava poi alla fase della produzione: si tagliava un pezzo, si impastava di nuovo per ammorbidirlo e poi si allungava in cilindri della grandezza e diametro voluto; se ne tagliavano tanti pezzi e poi facendo passare sopra la lama liscia di un coltello e facendo leva con il dito ne veniva fuori una coccetella che, nella fase finale,  doveva essere poggiata sugli indici delle mani e con i pollici essere lisciata ai bordi, stretta un po’ al centro. Venivano poi allineate sui tavoli di legno o di rete metallica smaltata e sistemate in ordine come tanti soldatini, e  messe ad asciugare  in un luogo ben areato.

Il lavoro continuava perché bisognava stare attenti all’asciugatura, che non doveva essere eccessiva al punto da farle spaccare, o ancora umide da farle ammuffire.

Mia madre mi raccontava che nella sua famiglia si faceva la pasta a mano sia nel periodo della guerra che in quello postbellico, con la madre e le sorelle per avere un sostegno in famiglia in quei tempi bui e tristi perché era morto anche il padre.

La semola proveniva dalla Puglia, con mille difficoltà, trasportato dai carri che facevano commercio di prodotti dal foggiano fino a Napoli.

Qualche chilo di pasta prodotta veniva venduta ad Avellino a qualche osteria o tavola calda; i soldi guadagnati permettevano di comprare qualche necessità.

L’attività della produzione delle coccetelle ed altro è sempre avvenuta nelle abitazioni private, ed era svolta dalle donne di famiglia perché tutto il processo di lavorazione avveniva come in una catena di montaggio, ad ognuna era affidata una fase del lavoro. In genere i più piccoli erano addetti ad aggiustare e collocare le coccetelle sul tavolo, Naturalmente le mamme stavano sempre a richiamare e a dare suggerimenti affinchè il prodotto fosse di buona fattura: non tirarla troppo altrimenti si spacca al centro, non darle una forma storta, sistemale bene che ce ne vanno di più sul tavolo. Insomma dovevano essere per lo più uguali altrimenti non avrebbero raggiunto tutte lo stesso grado di cottura o si sarebbero spaccate.

Insomma per avere un buon prodotto, o meglio per assaporare un piatto di pasta condita con un gustoso e ricco ragù bisognava lavorare seguendo gli accorgimenti necessari delle nostre massaie: cioè una buona pasta delicata per il palato ed omogenea nella sua fattura.

Abbiamo avuto negli anni passati nel nostro paese donne che erano maestre in questa attività che è diventato un lavoro artigianale e professionale nello stesso tempo.

Al corso Vittorio Emanuele , via Traversa, ricordo due signore anziane , Annunziata Postiglione e Maria Grazia Riccio, poi successivamente la sig. Vincenza Buonasorte, presso la quale cominciai ad avere i primi approcci con la coccetella, infatti insieme alle figlie mettevo in ordine la pasta sui tavoli  poi ancora mia nonna Fortunata e le sue due figlie.

Qualche anno dopo mia madre Lucia insieme alla sua parente Maria Giovanna Santaniello, per più di un ventennio, nei pomeriggi sia estivi che invernali si dedicavano all’attività; facevano loro compagnia delle amiche e conoscenti, per cui il momento di lavoro diveniva un momento di socializzazione.

In via Campi c’erano le sig. Amodeo , Di Fazio e Canonico. Dagli anni’70 in poi la richiesta di mercato divenne sempre più frequente perché nel settore della ristorazione la coccetella  acquisì l’importanza di un primo piatto molto richiesto.

Aveva iniziato il Ristorante il Pagliarone di Antonio De Somma, che volendo proporre una specialità locale inventò il pignatiello, cioè il piatto di terracotta con la pasta al sugo passata per il forno. La pietanza ebbe successo tra i frequentatori del locale, che erano provenienti perlopiù dal territorio napoletano. Poi fu adottata da altri ristoranti sia del paese che dei paesi limitrofi.

Rimane pur sempre un’attività occasionale e familiare, ma si può affermare che intorno ad essa, nel corso del tempo, si è sviluppata una microeconomia che ha aiutato tante donne a contribuire alla gestione  familiare senza uscire di casa.

Si è pensato talvolta nel passato di creare una cooperativa di “pastaiole”per immettere sul mercato un prodotto confezionato, ma evidenti difficoltà logistiche ed economiche hanno fatto desistere dall’idea; ancora oggi si lavora la coccetella ed altri tipi di pasta a mano su richiesta e per la benevolenza di qualche casalinga che ha appreso l’arte e la esercita come hobby.  

Intorno alla coccetella e più ampiamente alla pasta a mano si può scrivere una storia che riguarda il passato, però noi come comunità montefortese dobbiamo far sì che l’attività vivi nel presente e si tramandi nel futuro. Perciò , grazie alla Pro loco,che ha organizzato corsi di pasta a mano, la tradizione può continuare ed essere trasmessa alle generazioni future come messaggio ereditato dalle nostre mamme, nonne e antenate.

Prof.ssa Giovanna Della Bella

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